Chissà che mi pensavo, osservando attonito lo sferragliare inutile. Chissà poi cosa eri, e quali viaggi futili andavi a manovrare.
Mi son raccolto, stretto, dentro e intorno a me: ho fatto il vuoto a ciò che ero, scrutando a fondo le mie viscere. Ho visto fumi, istinti mal celati, infanzie mai giocate e vecchiaie mai temute. Mi son sentito abbattere, il vento e tanti ardori, violenti, forti, giocati sul confine tra il folle e il santo nuovo. La mano che teneva il passo dei miei anni si è fatta più lontana, e l'uomo arguto, che dentro me scrutava mille albori, mi guarda ormai nascosto.
Ho fatto il pugno chiuso, abbraccio a fondo vivere: o io o loro, decidi senza peso. E solo, vivo, cupo, ho declinato i giorni di un nuovo comandare, di un nuovo in me restare. La casa, ora, è vuota: non c'è chi aspetta sera per rendermi Felice, non c'è chi aspetta e spera un "da qui ho capito Nietszche".
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Così, cammino senza posa le spiagge di un timore: clamori da lontano mi bagliano sul mare, le luci, silenziose, mi segnano le ore, e l'animo, profondo, mi sento naufragare. Non sono più lontano, da un luogo senza posto, da lune colorate di anelite speranze. Rischiare a lungo mare: più in basso, difficile raschiare, più in alto, un volo da provare.
Lo so, e non ci sono mani, e non ci sono voci: ma luci, a mezza costa, mi guidano le orme.