venerdì 25 dicembre 2009

Natale nell'ombra


Natale sulla terra (II)

Guardò la strada, vuota, deserta. Fredda. Affrettò i passi, alzò lo sguardo, rimase soltanto a sentire il vuoto glaciale di quel giorno. Come tanti altri, prometteva di non lasciare nulla. Come tanti altri, scivolava via lento.

Aspettò. A lungo. Non senza cadere.

Ad un tratto la luce. La vita iniziò a volteggiare per aria, e non riusciva più a rimanere ferma. I fiocchi di neve cadevano, danzavano, sino a poggiarsi poi su ogni cosa: pensò non dovesse essere poi qualcosa di così brutto. Ed iniziò a vagare con la mente...

...Quando ci siamo incontrati, presi così in mezzo a tutti? Ed il cielo, in quale momento si era squarciato di nubi? Il mio, e il Tuo, i nostri mondi, per una volta uniti ed incrociati, connessi, intrecciati e legati a doppio filo. Arrivato, arrivata, da mille secoli di distanze, da dimensioni insondabili fino a poco tempo prima. Ed ora, qui, vicini, a far implodere...

Il Natale era esploso, lì: quel piccolo pezzo di finito, dilatato sino a tal punto da toccare l'infinito, da diventare a sua volta infinito. In un unico, solo, abbraccio. Intanto, i fiocchi di neve continuavano a volteggiare, per poi appoggiarsi sui cappotti della gente, e seguirli nel loro cammino. Non doveva essere niente male, se ne convinse.

E, si accorse di non aver sentito arrivare il Natale: ma ormai era troppo tardi, perché lo aveva già vissuto da dentro, e nessuno glielo avrebbe più portato via.

sabato 31 ottobre 2009

Notturno instabile


Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move le greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?


...


Forse s'avvess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia grerggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando l'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.


(G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia)

domenica 25 ottobre 2009

In every heart there is a room


Natale sulla terra (I)

Improvvisamente, si accesero tutte le luci. Le strade di animarono, si riempirono di gente. Tutti, tutti si tuffarono lungo i marciapiedi, incuranti del freddo. Tutti, si strinsero forte per non sentire il freddo. Tutti, presero per mano la vita ed il dolore, e li portarono davanti a sè.

...Jour éternel de la terre et des cieux...

Improvvisamente.
La realtà apparve, d'un tratto trasfigurata.
La neve ricoprì le strade, i tetti, le finestre.
Quel sentimento, quell'essere pieni, soddisfatti, in sintonia con tutto: c'era di nuovo, era lì. E a lui non sembrò nemmeno vero: tutto quanto squadernato davanti ai propri occhi, come più non aveva visto o sentito da molto tempo.

...Jour éternel de la terre et des cieux...

Si guardò intorno, senti il freddo entrare ben dentro di sè. Vide i volti felici di gente che andava cercando la serenità in sguardi ed abbracci. Si sentì, per un attimo a casa: pensò e ripensò, come sempre, a quelle partenze, a quei ritorni. Alzò gli occhi, al cielo, e vide milioni di fiocchi di neve cadergli addosso.




..And you're the only one who knows..



domenica 18 ottobre 2009

Ovunque


Fermò l'automobile, lasciò suonare ancora l'ultima traccia del cd..ascoltava con attenzione le note di quella canzone rimbalzare contro i finestrini, per poi andare a sbattere contro i sedili. Ad un tratto la musica finì, e con essa il cd: lui non lasciò il tempo al laser di riposizionarsi nella posizione di partenza, ma estrasse con velocità il supporto dall'autoradio. Era deciso a salire in fretta su in casa, per andare ad infilarsi sotto le coperte e così, rilassato, addormentarsi e svenire in un sogno totale.
Ma non fu possibile: perché la radio lo riportò indietro con i giorni..stavano trasmettendo quel vecchio pezzo, un solo pianoforte a scandire tempo e melodia, nessuna voce.

..tuffare la mano in un sacco di legumi... ...rompere la crosta della creme brulée con la punta del cucchiaino... ...e far rimbalzare i sassi sul canale Saint-Martin...

Già. E non aveva più voglia di alzarsi ed andare a dormire. Avrebbe voluto, per una sera, sentire ancora il caldo sulla pelle e scoppiare di sudore: ma il freddo era arrivato. In pochi giorni, nel giro di alcune ore. Ormai era lì. La festa, quella non c'era più. Nemmeno quella appena passata durante l'ultima serata: era volata, come vola a volte la nostra consapevolezza di essere semplicemente un soffio nell'infinità del cosmo.
Finita come tutte quelle sedie ritirate e messe a posto.
Finita come quei passi che si allontanavano.
Finita come doveva finire.
E, al suo posto, era tornato il reale, con il suo tremendo morso: era arrivato a presentare il conto. A tutti. E non sarebbero stati attimi di gioia. E non sarebbero stati occhi spalancati a cercare chissà cosa. Sarebbe arrivato il blocco. Come il freddo. La voglia di sbattere la testa contro il cuscino, magari per non ricordarsi di essere lì, presenti. E il reale, come sempre aveva fatto, come era suo compito, avrebbe travolto tutto e tutti. I superstiti li avrebbero poi contati dopo, nel caso che di superstiti si potesse parlare.
Non rimaneva niente. Anche la radio ormai si era spenta. Come lui: passò alcuni istanti ad osservarsi, e non si riconobbe. Pensò a tutto, e a quel dolore. Suo, e di altri. Ebbe la voglia di sprofondare lontano, per dimenticare quel male. Pensò, e ripenso, a lungo. Vuoto, misto calore.

Ovunque, in ogni luogo fosse. Lui c'era, era lì. Presente.

Eccomi

domenica 11 ottobre 2009

Conta la musica


Se tu mi avessi chiesto: "Come stai?"
se tu mi avessi chiesto:"Dove andiamo?"
t'avrei risposto "bene, certo sai"
ti parlo però senza fiato
mi perdo nel tuo sguardo colossale,
la stella polare sei tu...mi sfiori e ridi
no, cosi non vale

non parlo e se non parlo poi sto male

Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
e non lo sai perchè non te l'ho detto mai
anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te

Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
non l'ho mai detto e non te lo dirò mai
nell'amor le parole non contano, conta la musica.

Se tu mi avessi chiesto: "Che si fa?"
se tu mi avessi chiesto: "Dove andiamo?"
t'avrei risposto:"Dove il vento va"
le nuvole fanno un ricamo
mi piove sulla testa un temporale
il cielo nascosto sei tu, ma poi svanisce in mezzo alle parole
per questo io non parlo e poi sto male

Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
e non lo sai perchè non te l'ho detto mai
anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te

Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
non l'ho mai detto e non te lo dirò mai
nell'amor le parole non contano, conta la musica.

Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
non l'ho mai detto, ma un giorno capirai
nell'amor le parole non contano,
.
..
...
conta la musica

venerdì 18 settembre 2009

Dialogo tra un impegnato e un non so


[Voce fuori campo:] Chi sei?
[G:] Mah, non so.
[Voce fuori campo:] Chi sei?
[G:] Sono un non so.
[Voce fuori campo:] L’ironia è un’arma della borghesia. Chi sei?
[G:] Sono… sono uno che scrive.
[Voce fuori campo:] Ah, sei un poeta!
[G:] Beh, chiamami come ti pare.
[Voce fuori campo:] Un poeta rivoluzionario?
[G:] Sì, rivoluzionario.
[Voce fuori campo:] E di cosa parli?
[G:] Parlo dell’uomo, dei suoi rapporti, dell’amore, parlo di un albero…
[Voce fuori campo:] Ah, di un albero, ero lì che ti aspettavo! Ma non lo sai che parlare di un albero in tempo di rivoluzione è come tradire la rivoluzione?
[G:] C’è la rivoluzione?
[Voce fuori campo:] Non fare lo spiritoso! Parlavo dell’impegno, dell’impegno ideologico.
[G:] Questa l’ho già sentita.
[Voce fuori campo:] L’hai già sentita ma non l’hai imparata.
[G:] Non è che non l’ho imparata, è che a me non interessa il cervello che va, va, chissà dove… deve passare di qui, dentro. È l’istinto che mi interessa, lo stomaco!
[Voce fuori campo:] Ah, lo stomaco, ero lì che ti aspettavo!
[G:] Eh ma tu mi aspetti sempre da tutte le parti!
[Voce fuori campo:] Per forza, fai ancora il discorso sui sentimenti, sui dolori… lo so dove vuoi arrivare. Ma credi veramente di servire a qualcosa?
[G:] Mah, non so. Servo a qualcosa? Dite, ditelo voi, servo a qualcosa?… non dicono.
[Voce fuori campo:] Non servi a niente! Sei un poeta borghese. Ti rinchiudi in te, non riesci a tirare fuori un’idea, modificarla, cambiarla.
[G:] Un’idea, modificarla, cambiarla, elaborarla… ci vuole mica tanto! È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro che è un’altra cosa!


(G. Gaber, Dialogo I, tratto da Dialogo tra un impegnato e un non so)

domenica 13 settembre 2009

Nella gioia e nel dolore


Vesti bianche, passi leggeri, uno dopo l'altro..visi felici, concentrati..lui aspettava dentro, con una giacca blu che copriva gran parte del suo corpo. Il pubblico, la folla, attendeva impaziente l'arrivo di lei.

La veste bianca impattò con l'ambiente circostante, e tutto si accese di luce: pochi passi, emozionati, insicuri, ansiosi. Lui era lì, guardava con curiosità gli sviluppi di quel cammino che l'avrebbe portata lì, così vicino. Così vicino. Lei arrivò, e gli occhi si chiusero insieme: fu un lampo, un attimo, e si trovarono uniti. L'uno all'altra.

Lui e lei.
Lei e lui.
Per la vita.
Una vita insieme.

Esplose la felicità, esplose l'amore: e lo sentirono pure i vicini, tanto che dovettero affacciarsi alle finestre ed ai balconi per cercare di capire cosa stesse succedendo.

L'amore era lì, passava per i viali, inondava le strade, i marciapiedi. La luce era lì, sembrava quasi irreale, tanto era chiara, quasi trasparente.
Tutto era lì, condensato in unico luogo: non c'era altrove, non c'erano alto e basso, destra e sinistra, non c'era più nulla. Solo un unico abbraccio, due persone, un amore, un sogno ormai divenuto realtà.

Ed il ragazzo osservava da lontano, contava i passi e gli sguardi dei presenti: ma poteva sentirla ormai. Sfiorava la felicità degli altri, la sentiva entrare nella sua vita, nel suo corpo, nelle sue fibre: non era lontana, estranea. No. Lì, era lì, poteva sentirla, e non solo più vederla. Forte, vera.

Intanto le vesti bianche e blu seguitavano a muoversi leggere nel prato, tra i tavoli: la vita arrivava, entrava, si faceva sentire. Per un attimo, il ragazzo non pensò ai suoi dubbi, a tutti i pensieri, alle preoccupazioni, e persino quell'ansia scomparve: pensò soltanto a loro due, alla loro felicità, ai loro sguardi, a quei movimenti atti a cercarsi, alle dita che si intrecciavano sino a perdersi l'une nelle altre. E alla gioia che esplodeva, ancora una volta. E, per un attimo, anche nella sua vita: di riflesso, ma esplodeva pur sempre.

Rimase tutta la sera, osservò da lontano gli astanti, e ringraziò ogni singolo istante di quel giorno, ogni sguardo: sfiorava la felicità, e ne era pieno. Sì, per quella sera, per poco, ma la sentiva.

venerdì 4 settembre 2009

Principio di correlazione


Il nome di questa infinita ed inesauribile profondità è Dio. E' a questa profondità che si riferisce la parola Dio. E se tale parola non ha più ormai per voi molto significato, traducetela, e parlate della profondità della vostra vita, della sorgente del vostro essere, di ciò che veramente vi importa, di ciò che prendete veramente sul serio, senza riserve. Per farlo, dovrete forse dimenticare qualcuna delle nozioni tradizionali di Dio, dovrete forse dimenticare questa stessa parola. Ma se sapete che Dio significa profondità, sapete già molto di lui. Non potrete allora definirvi atei o non-credenti, perchè non potrete dire: la vita non ha profondità, la vita è superficiale, l'Essere stesso è superficiale! Solo se vi sentiste in grado di dire tutto questo in piena serietà, sareste atei; altrimenti non lo siete. Chi conosce la profondità, conosce Dio.


(P. Tillich, La profondità dell'esistenza)

domenica 16 agosto 2009

Ad ogni partenza un ritorno (III)


Breve Intermezzo Onirico

"Tremavo un po' di doglie blu, e di esistenza inutile, vibravo di vertigine, di lecca-lecca zuccheri... "
(Baustelle- Gomma)


Si era coricato ormai da un pezzo, ed i pensieri faticavano a scomparire dalla testa. Voci, sguardi, mani, parole, grida, di nuovo voci: tutto insieme, tutto a lui. Poi d'improvviso si girò su di un fianco e, come preso da un sortilegio, cadde nel sonno più profondo. Ed iniziò, piano piano, a sognare...

...Non era nella Città. Era a casa. Casa sua. Il Laptop sul divano, la tv spenta sul solito canale. Si alzò d'improvviso per entrare in cucina. Anche quella sera la sete non gli lasciava requie, tormentandolo sino nelle più pronde fibre del corpo. Bevve, molto. Ma, come al solito, non servì. Tornò di fretta in cucina, si mise al pc ed iniziò a scrivere freneticamente, come preso da un furor creativo: solo dopo alcuni minuti si accorse di aver ripetuto all'infinito la stessa frase sul monitor:



Secca sete di Te



Si ricordò di quella canzone, ascoltata anni prima, e subito si trovò in camera a rovistare tra i cd: la trovò quasi all'istante, e lodò quel pomeriggio passato con Michael a ordinare tutti i cd secondo la progressione alfabetica, rispettando addirittura la divisione tra artisti italiani e stranieri. ( Per quello, lodò anche Michael per averlo introdotto all'amore per la musica, ma questo era un discorso differente, si disse) Senza indugiare estrasse il cd dalla confezione, cercò il numero della Traccia ed inserì il disco nel pc: le note risuonarono, a volume basso (era tardi, molto. Come al solito). Sì, era quella. Le stesse parole scritte sul monitor, lo stesso ritornello, la stessa voce femminile a far da controcanto a quella maschile. Erano loro.

Improvvisamente le note parvero confondersi l'una sull'altra e lui si ritrovò davanti quella sera: non capiva. Arrivò al tavolo un pinta di birra. Continuava a non capire. Alzò lo sguardo. E capì. Era lì. Le mani, le mani, le mani. Seguivano piano piano il contorno della decorazione del tavolo, o almeno quello che ne rimaneva. Sfioravano il bicchiere umido di birra, gesticolavano, sembravano parlare. Poi, come prese da timidezza, tornavano a sfiorare il tavolo, seguendo il contorno delle incisioni lasciate da centinaia di clienti passati da lì. E seguitavano, in quel modo, a descrivere piccole figure, quasi a dire "guardaci". Il ragazzo si ricordò tutto, si ricordò di quanto quegli splendidi movimenti lo avessero come ipnotizzato..e gli occhi, santo cielo gli occhi: quelle mani rimandavano subito agli occhi. Timidi, ma accesi; vispi, ma allo stesso tempo un po' timorosi ed impacciati. Anche loro seguivano traiettorie fantastiche ed impevedibili, disegnavano orizzonti lontani per poi tornare ad incrociarsi con il suo sguardo. E sembravano dire.."seguici, ma non troppo ancora. Seguici da lontano. Ma vieni dietro noi. Seguici." Il ragazzo allungò lo sguardo, alzò gli occhi quasi a mimare l'invito appena ricevuto...

E fu un lampo: si svegliò, era nel letto, nella Città. Nessuna birra, nessuna casa sua. Tutto era come lo aveva lasciato, solo l'ora, quella sì, era cambiata: era mattino, e tutti dormivano ancora. Aveva sognato tutto: la canzone, la birra, il pub, gli occhi, quelle mani.
Stette a lungo a riflettere sul cuscino,e ad un tratto, per un istante, gli parve che la sete, quella sete, anche se solo in sogno e solo per poco, fosse scomparsa, e avesse lasciato spazio ad un bagliore di azzurro..


Fine del breve intermezzo

Ad ogni partenza un ritorno... (II)


Capitolo II- Secca sete di te

Alla vista del ragazzo il mondo poteva apparire come un enorme scatolone privo di alcuna utilità: trovare ad esso un senso, seppure minimo, a quell'ora della sera..non era proprio il caso. Si alzò in fretta dalla sedia e si affacciò al piccolo balcone che dava sulla via principale: piccolo rattoppi di umanità brulicavano per quel Calle semideserto. Non sembrava nemmeno La Città, non sembrava come l'aveva osservata poche ora prima. Solare, immensa, grandiosa. A quell'ora della notte appariva quasi timida. E il caldo. Quel caldo devastante, santo cielo, che non se ne sarebbe andato per una settimana. In più, quella secca sete di lei, con il caldo, non avrebbe accennato a spegnersi. Il ragazzo pensò che tuttavia quello non sarebbe stato un male, anzi..
Alzò lo sguardo ai tetti delle case, e da lì verso il cielo della Città: blu, blu, blu. E gli venne in mente quel pomeriggio:

...le nuvole se ne erano andate, così, d'improvviso, e il cielo, finalmente, si era fatto azzurro. Di quell'azzurro limpido, chiaro, vero. Aveva volato leggero sui tetti, sui campanili, sulle facce ignare di tutte le persone. Si era librato nell'aria come mai aveva fatto in tutti quegli anni. Tutto gli era sembrato così colorato, fresco...

Guardò l'orologio, ed era tardi. Molto tardi. I suoi compagni erano già andati a dormire da un pezzo: alcuni tentavano invano di cercarsi nel letto per sentirsi più vicini e meno soli, altri avevano posato libri ed occhiali sul comodino, ritornando all'amara realtà di questo mondo. Rientrò in casa, ma una voce lo sorprese: "Vuoi un pezzo di anguria? Io ho fame, me ne spappolo mezza". Luke era in piedi, in salotto, con appunto un' enorme fetta di anguria in una mano ed un coltello nell'altra. Sempre lui. Un artista calato dentro al corpo di un vichingo: ecco quello che aveva pensato la prima volta che lo aveva intravisto. Col tempo si era affezionato a quel suo modo di fare a metà tra l'eclettismo più sfrenato e la praticità fatta a persona. Ma a quell'ora della notte anche un'anguria appariva come un ostacolo posto a metà tra La Città ed il Cielo Azzurro. "No, grazie. Mi bevo un bicchier d'acqua e scappo sotto le coperte. Oddio, coperte. Mi tuffo sul letto." "Bene, vai a fare finta di dormire allora!" Il ragazzo salutò il sorriso di Luke con un cenno degli occhi.
L'acqua non gli tolse nemmeno un po' la sete: normale, regolare. Ebbe l'impressione che la gola avrebbe continuato a rimanere secca ancora per molto tempo. Almeno, fino a quando il Cielo Azzurro non gli si fosse aperto sopra gli occhi.
Per ora, però, rimaneva lì. La Città dominava sotto i balconi, il caldo sfibrava, il Cielo Azzurro si intravedeva. Ma la sete. Tremenda, secca. Rimaneva. Rimaneva a ricordargli quegli occhi, rimaneva a ricordargli quelle mani che si erano mosse lungo le linee del tavolo molte sere prima.

Faceva caldo. Il ragazzo si coricò, pensò a lungo. Ed all'improvviso il mondo non sembrò più essere quel'enorme scatolone privo di senso...


Fine seconda parte

domenica 9 agosto 2009

Le luci di Marsiglia non arrivan mai...


...Ribaltare le parole, invertire il senso fino allo sputo, cercando un'altra poesia.
E Verlaine che gli sparava e gli gridava:"Non lasciarmi, no, non lasciarmi, vita mia..."


...E quella voglia di annientarsi, di non darsi,
e basta, basta poesia;

Ho visto tutto e cosa so?
ho rinunciato, ho detto "no", ricordo a malapena quale nome ho:
Arthur Rimbaud, Arthur Rimbaud,
Arthur Rimbaud...
(Tratto da "A. R."- R. Vecchioni)

lunedì 3 agosto 2009

Ad ogni partenza un ritorno (I)


Parte Prima-La Città

"...e tutti gli sguardi incrociati in mezzo a culture lontane, e tutti i passi affrettati per sciogliere il sole. E via da questa afa.."

Luglio era lì. Aspettava solo di essere vissuto. Il ragazzo guardava l'ora, in attesa che la sveglia suonasse e riempisse la stanza di rumore. Finalmente arrivò il tempo. E fu poco a portarlo all'aeroporto: l'automobile sgommò veloce lungo il parcheggio e lo lasciò lì, con le sue valigie.
Tutto il mondo stava in lui, da quell'ultimo sorriso sino a quel dolore che non se ne voleva andare per nulla al mondo. Le parole risuonavano ancora nel vuoto "Con i poteri da me conferitemi la nomino...". Dottore. Dottore. Del nulla, si era detto; aveva pensato a quanto avesse raschiato a fondo nel proprio animo per giungere a quel traguardo. Ed ora, ora che tutto quello per cui aveva vissuto male i propri anni era stato raggiunto, ora, nemmeno ora, riusciva a capire quello che aveva davanti: pensò però che nonostante tutto almeno quello lo teneva legato stretto alla vita, lasciandogli qualcosa che lo rendesse felice e pieno. Ma il resto. Era il resto a distrarlo. Le voci, gli sguardi, i pensieri, tutto si inseguiva: i dubbi, la paura di sè stesso, la mancanza di una missione, di un obiettivo.

"I passeggeri del volo...sono pregati di accomodarsi al Gate C.."

La voce lo riportò alla realtà: era lì, pronto con una valigia, per cercare di dimenticare quello che lui stesso era; otto persone, forse ognuna con uno scopo differente e aspettative diverse per quello che avrebbe rappresentato La Città. C'era chi voleva perdersi in chi amava, chi andava cercando il proprio posto nel mondo, chi voleva scappare ed un telefono lo riportava alla realtà, e poi c'era lui..Scivolò via coi bagagli, salì veloce sull'aereo e si sedette nel primo posto che trovò libero.La forza del decollo lo premette talmente contro il sedile che rischiò più volte di urlare. Ma in fondo capiva che quello sarebbe stato solo il primo passo verso La Città.
Ci volle poco per arrivare, qualche scala mobile, due linee di metropolitana, e poi all'improvviso apparve Lei, Solare, Luminosa, Secca: La Città. Era così arrivato, giunto dove secoli di vita non lo avevano mai portato. Non si sentì soffocare. Non si sentì nemmeno però a casa. Ma c'era qualcosa (c'è sempre qualcosa), e quel qualcosa lo portava a camminare, ad alzare finalmente lo sguardo verso i palazzi enormemente alti e quel cielo così secco e così azzurro. Il viaggio iniziava, la partenza lo aveva coinvolto in quello che fino ad allora lui stesso aveva lasciato in disparte: la vita. E non c'era nulla fuori posto: le ruote della valigia finalmente viaggiavano regolari, gli occhi rimanevano aperti, il petto batteva forte di vita.

Di nuovo, la partenza lo aveva rischiarato: improvvisamente il ragazzo si chiese cosa gli avrebbe rivelato quella settimana. E concluse che più che chiederselo sarebbe stato meglio aspettarlo e viverlo. E così fece: ribaltandosi dal pensiero alla sensazione, si fece immergere dalla Città nel brulicare della vita. Decise che sarebbe stata la Città a decidere per lui, a decidere il Lui che sarebbe venuto e che avrebbe vissuto. Di certo non si illudeva di capire e cambiare tutto, o di ritornare poi immediatamente cambiato. Ma una via, una traccia, l'avrebbe cercata. E poi, piano piano, magari seguita.
Levò lo sguardo al cielo, nuovamente. E si mise a camminare: La Città lo aspettava, e i compagni di viaggio erano avanti con le borse e gli zaini. Non aspettò un attimo in più, impugnò la propria valigia e si mise in cammino lungo la gran via che portava dritto verso il centro della settimana che sarebbe stata.

Fine prima parte


venerdì 24 luglio 2009

Magnifiche sorti progressive


E siamo sicuri, alla fine della fiera, che questo sia progresso?
Siamo sicuri di essere approdati alla civiltà?

Le nostre imprese, la nostre aziende, le nostre fabbriche, la nostra vita seriale?
sono progresso?

I libri, le nozioni, le lezioni imparate e ripetute alla perfezione? Secoli di pensiero, secoli di teorie, di teoremi?
sono civiltà?

Millenni di fiumi color porpora versati lungo i luoghi della vita, millenni di oppio, millenni di religione? Millenni di odii?
Cosa hanno rappresentato?

Ed oggi? Le nostre cravatte, i nostri doppiopetto? Le giacche ed i colletti bianchi?
I sandali infradito, i costumi, le nostre spiagge, e poi le riviere, le estati, tutti i nostri sorrisi, gli aperitivi, le foto di gruppo con sorriso annesso?
sono progresso?

Ed io? che sono? I miei sorrisi, i miei sforzi, i miei esami, il mio discorso- "dottore, dottore!"- il mio traguardo?
é un progresso?

Ed il mio svuotarmi giorno per giorno, ora per ora, sino a sentirmi corrodere nelle più intime regioni dell'io che dovrei essere? Quel essere strano che piano piano prende piede in me, e non mi permette di vedere il bene che ho intorno, ma mi ricaccia ogni giorno in me, sprofondandomi nella barriera insormontabile della solitudine e del mancato?
Questo di certo non è progresso, non è civiltà: Sergio si sente vuoto, inutile, a tratti, anzi, sempre più spesso dannoso. Da fuori può non apparire così, può sembrare quieto vivere, no alarms and no surprises..ma dentro, no. dentro è diverso. è mia. la colpa. del mio non-esser-quello-che-vorrei. e se il cielo è grigio, è perchè io ho fatto piovere e addensato le nubi. e da me, non riesco a far tornare il sereno. Mi servi. perchè so che l'azzurro lo hai fatto apparire una sera. ed il grigio non c'era.

Vorrei rimanessi tu al centro,
e non questa melma che a tratti sprofonda.
Vorrei poter dire "rimani un momento"
e solo una sera resistere all'onda.

Quell'onda maligna che spazza via il bene,
che prende nel petto e toglie il respiro:
a me, a chi mi sta intorno,
che ora per ora, rovina il mio giorno.

Perciò vieni presto,
regalami sguardi,
e fammi capire, ti prego,
che più della vita è bello l'amore.

domenica 17 maggio 2009

Come sempre


Sono come sempre, intorno a me sguardi sbigottiti..di chi credeva di conoscermi, ed invece..va a sbattere contro il buio che ho dentro me. Il buio. Perchè c'è. C'è in me come una forza prepotente, ed ogni volta che credo di star per spiccare un po' (solo un po') il volo, e di levare i piedi dal suolo, ecco, lei mi riprende e riporta prepotentemente per terra. Dove sto ora. Per terra. Quando smetterò di essere così indecentemente brutto di carattere, quando smetterò di dare il peggio di me, difendendo troppo, troppo, le mie idee? Quando non sarò più quello che sono? Quando riuscirò a levarmi di dosso questo pesantume, che mi impedisce di avere relazioni "normali", di dare agli altri una buona impressione di me?

E quando smetterà di piovere?
Quando?

Ho un'immagine di me: ieri sera tornavo a casa, da solo..pioveva. Tantissimo. Non avevo ombrello, solo un misero cappuccio a ripararmi. Non avevo voglia di correre. Ho camminato. Per dieci lunghi minuti. Da solo. Alla pioggia.
Sono entrato in casa, fradicio. Inzuppato.
Ho pensato, molto. e non ho nemmeno starnutito.
Perchè è vero, piove, e potrà piovere tutta la pioggia che vorrà. Ma io nella pioggia ci ho camminato...e a casa ci sono arrivato. Con le mie gambe.

Che piova pure tutto quello che vuole. E che ci sia tutto il buio dentro me. Amor fati, il segreto è qui. Accettare quello che c'è. Accettarsi per quello che si è. E migliorarsi, ogni volta che si cade. E, soprattutto, migliorare quello che è intorno, ogni qualvolta si vede la terra crollare in preda alla barbarìe ed al panico.
La paura prenderà dentro, si appiglierà al più intimo sentimento. Ma avrò sempre con me un paio di gambe per camminare sotto la pioggia. E, forse, anche un ombrello a ripararmi..


lunedì 11 maggio 2009

A pochi passi


Immerso per alcuni istanti in una dimensione completamente differente rispetto alla tua...un universo parallelo a pochi respiri da te. Quanti mondi esistono, oltre al nostro? Le regole consuete, le leggi, la logica consueta, che pare non dover subire sbalzi e cambiamenti, tutte le normali aspettative, lo sfondo dal quale credi continuerà sempre a venir fuori la normalità..

BUM

Tutto spazzato via

E rimangono alcuni scarti. E rimangono i rifiuti. Di una società. Decretati. Per decisione non-si-sa-di-chi. E tu sei lì, con loro. E la logica del tuo mondo. Puff. Scomparsa. E le regole consuete. Puff. Scomparse. E il regolare fluire del tutto. Andato.

Paura. Vertigine.

E di colpo, come per incanto, anzi per terrore, tutto, non serve più. E gli affanni, le gelosie, le paure, le ansie, via. Rimane l'angoscia. Di vite mai iniziate. Di errori ripetuti. Di orrori mal saputi. E tu le vedi, son lì davanti. E piccolo, sei piccolo. Per quanto tu sia grande, per quanto tu sia alto, per quanto tu sia stimato. Piccolo. Sei piccolo. Piccolo.

piccolo

Piccolo. Perchè gli scarti, quei rifiuti, lasciati dietro mura, buttate al marciapiede, ti superano in speranza, ti superano in grandezza, ti superano in dignità. Perchè son qui. Come noi. Perchè alzan gli occhi al cielo. Perchè piangono, per quello che è. Ma sono. Continuano. Son vive. Son vivi.

E tu? Tu pensi, alla tua miseria. Alla piccolezza. A quanto dovresti svegliarti. A quanto dovresti pensare a sbalzarti fuori dal pensiero e vivere. A quanto dovresti tornare a seguire le dita sfiorare i contorni di oggetti vicini. A quanto dovresti spezzare il respiro a sguardi vicini.

Al centro

Rimani

mercoledì 29 aprile 2009

Leggere luci


Leggere luci, fatui ritorni, ardente zelo di non fermarsi..bloccare il vuoto di empie stanze per poi partire per più distanze..Mai più mattanze..mai più quel gelo innanzi al corpo, mai più il mio freddo che sfiora il volto. La luce accesa di volontà, il sole, giallo, mi abisserà..abisso in alto, e lì trovarsi, sentire il pieno di un altro centro, un centro esploso di sguardi accesi.

Soltanto solo, guardando il vuoto, guardando il volto di mille nulla..Non serve a niente restar sospesi, non serve a niente restare illesi: il vuoto, presto, scomparirà, il nulla, questo, si abbaglierà..saranno fuochi di volontà, e il centro, allora, mi riempirà. IO, mille ardori guardar vorrò: ma sulla terra, su questa terra: in questo corpo che sfiora me, in questo centro che ora è.

domenica 29 marzo 2009

Fuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuun


Nel silenzio, all'improvviso, un rumore..che avrebbe dovuto essere familiare, e invece non lo è stato..non sono mai stato abituato a sentirlo..un martedì pomeriggio, un primo pomeriggio assonnato. E il rumore dell'asciugamani elettrico stile phon-attaccato-al-muro-dell'autogrill irrompe nel bagno della biblioteca dove sono solito preparare il mio futuro sui libri. Avrebbe dovuto essere naturale: ma così non è stato..era da quando ero una spaurita matricola che quell'aggeggio non c'era..
...e invece da martedì il mondo è cambiato, e non sono ironico..quel luogo perfetto, intatto, dove ormai ho preso residenza, è stato modificato in una sua parte, piccola quanto vuoi, ma ora diversa..c'è un rumore in più..

..sono uscito, la sera, per andare a prendere il mio treno quotidiano..e uscendo, ho alzato un attimo lo sguardo al cielo..era diverso, pure lì. Attorniato da sensazioni differenti da quelle che ero solito provare, come se fossi stato ribaltato da un mondo all'altro..quel posto era diverso...

Dentro me, era diverso.
Fuori, no. Fuori era sempre uguale.

Gli studenti continuavano a fumare sigarette nel cortile, il mondo portava avanti la sua sterile voglia di esistere, le porte continuavano ad aprirsi al passaggio di umanità differenti. E i colori erano sempre uguali.

Ma dentro no. Per un attimo i colori si erano fatti differenti, vivi, la luce entrava finalmente negli occhi, la vita irrompeva. Per un attimo. Ho sentito il vento sulla pelle. E mi è scappato un sorriso.
Poi ho preso il mio sguardo, e mi sono avviato verso Porta Nuova.
Ma come non avevo mai fatto.

sabato 21 marzo 2009

...Maria Catena...


Maria Catena attendeva paziente il turno per la comunione
Quella domenica Cristo in croce sembrava più addolorato di altri giorni
il vecchio prelato assolveva quel gregge
da più di vent'anni dai soliti peccati
Cristo in croce sembrava alquanto avvilito
dai vizietti di provincia

Primo fra tutti il ricorso sfrenato
al pettegolezzo imburrato infornato e mangiato
quale prelibatezza e meschina delizia per palati volgari
larghe bocche d'amianto fetide come acque stagnanti

Cristo in croce sembrava
più infastidito dalle infamie che dai chiodi

Maria Catena anche tu
conosci quel nodo che stringe la gola
Quel pianto strozzato da rabbia e amarezza
da colpe che infondo non hai
e stai ancora scontando l'ingiusta condanna
nel triste girone della maldicenza

e ti chiedi se più che un dispetto il tuo nome
sia stato un presagio

Maria Catena non seppe reagire
Al rifiuto del parroco di darle l'ostia
E soffocò nel dolor quel mancato amen
E l'umiliazione
Secondo un antico proverbio
ogni menzogna alla lunga diventa verità

Cristo in croce mostrava
un sorriso indulgente e quasi incredulo

Maria Catena anche tu
conosci quel nodo che stringe la gola
Quel pianto strozzato da rabbia e amarezza
Da colpe che infondo non hai
E stai ancora scontanto l'ingiusta condanna
Nel triste girone della maldicenza

E stai ancora scontando l'ingiusta condanna
Nel triste girone della maldicenza
E ti chiedi se più che un dispetto
il tuo nome sia stato un presagio


(Carmen Consoli, Maria Catena)

domenica 1 marzo 2009

Afferrandosi a qualunque sguardo


Anni fa, quando ero ancora piccino ed innocente, entrai a contatto con una donna, forse una delle più grandi che questo nostro sciagurato paese abbia mai avuto: entrai a contatto con le sue parole, i suoi versi, tutti i suoi sentimenti lanciati come inchiostro su carta. Conobbi la sua vita, il suo dolore, la sua Poesia. Mi permetto di lasciare qui pochi dei suoi versi, perché in questo momento mi aiutano, mi stanno vicini, sostenendomi più di quanto essi possano sapere. E soprattutto perché in questo periodo io non so più scrivere, e allora lascio fare a chi di scrivere ne ha fatto un mestiere, forse il più nobile.

Non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.



Alda Merini



sabato 21 febbraio 2009

The same old me


Più o meno come quando uno corre per prendere il treno. E arriva trafelato al binario. ma il treno ti parte sotto gli occhi.

Più o meno quando aspetti tutta la settimana di vedere una persona, e quella persona quella sera non c'è.

Più o meno come quando ti aspetti qualcosa, più o meno come quando le aspettative si aggrovigliano nell'animo, sino a premere per uscirne: e poi ad un tratto tutto rimane dentro. E incollato al suolo è il modo di essere.
E si striscia solo più.
Quel volo che ci si aspettava non avviene

"Niente decollo, si avvisano i signori passseggeri di scendere dall'aereo."



Causa guasto tecnico


E la paura, quel terrore, non te lo togli più da addosso: prende residenza in te, tiene le gambe e le braccia, bracca la mente di ora in ora. E tu non sai cos'è, ma c'è, è lì...è vecchio, ancestrale, inconscio...ora di nuovo abituale..non ti lascia stare, alla sera sotto le coperte, al mattino appena resosi conto di dove si è, nel bel mezzo di una serata, durante il pomeriggio..e tu provi a urlare, ma la voce non esce...e tu provi a cercare, ma nulla..

Di nuovo piccolo piccolo nel pancione di mia mamma...

Dove sei?
Ti sento..

domenica 25 gennaio 2009

Chevalier de Pas


Fernando Pessoa chiuse gli occhiali e si addormentò; e quelli che scrivevano per lui lo lasciarono solo, finalmente solo. Così la pioggia obliqua di Lisbona lo abbandonò, e finalmente la finì di fingere fogli, di fare male ai fogli...
E la finì di mascherarsi dietro tanti nomi, dimenticando Ophelia per cercare un senso che non c'è. E alla fine dirle: "scusa se ho lasciato le tue mani, ma io dovevo solo scrivere, scrivere e scrivere di me..."

E le lettere d'amore,
le lettere d'amore
fanno solo ridere.
Le lettere d'amore
non sarebbero d'amore
se non facessero ridere.
Anch'io scrivevo un tempo lettere d'amore
anch'io facevo ridere;
le lettere d'amore, quando c'è l'amore,
per forza fanno ridere.

E costruì un delirante universo senza amore, dove tutte le cose hanno stanchezza di esistere, e spalancato dolore. Ma gli sfuggì che il senso delle stelle non è quello di un uomo, e si rivide nella pena di quel brillare inutile, di quel brillare lontano..
E capì tardi che dentro quel negozio di tabaccheria c'era più vita di quanta ce ne fosse in tutta la sua poesia; e che invece di continuare a tormentarsi con un mondo assurdo, basterebbe toccare il corpo di una donna, rispondere a uno sguardo..

E scrivere d'amore, e scrivere d'amore, anche se si fa ridere; anche quando la guardi, anche mentre la perdi, quello che conta è scrivere. E non aver paura, non aver mai paura di essere ridicoli; solo chi non ha scritto mai lettere d'amore fa veramente ridere.

Le lettere d'amore,
le lettere d'amore,
di un amore invisibile;
le lettere d'amore
che avevo cominciato
magari senza accorgermi;
le lettere d'amore
che avevo immaginato,
ma mi facevan ridere
magari fossi in tempo
se avessi ancora il tempo
per potertele scrivere..



(Roberto Vecchioni, Le lettere d'amore)

venerdì 16 gennaio 2009

A te la mossa


"Se mi chiedessi sull'arte probabilmente ti citerei tutti i libri sull'arte mai scritti. Michelangelo: so tante cose su di lui, le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma non saprei dirti che odore c'è nella cappella Sistina, non sono mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto, mai visto. Se mi chiedessi sulle donne, probabilmente ti farei un compendio delle mie preferenze. Ma non so dirti che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici.
E se ti chiedessi sulla guerra probabilmente ti getterei Shakespeare in faccia "ancora una volta sulla breccia cari amici", ma non ne ho mai sfiorata una, non ho mai tenuto in grembo la testa del mio migliore amico vedendolo esalare l'ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto.


Se mi chiedessi sull'amore probabilmente ti direi un sonetto, ma guardando una donna non sono mai stato del tutto vulnerabile, non ne conosco una che mi risollevi con gli occhi, sentendo che Dio ha mandato un angelo sulla terra solo per me, per salvarmi dagli abissi dell'inferno. Non so cosa si prova ad essere il suo angelo, avere tanto amore per lei, vicino a lei, per sempre, in ogni circostanza. Incluso il cancro. Non so cosa si prova a dormire su una sedia di ospedale per due mesi tenendole la mano, perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine orario delle le visite non si applica a te.
Non so cosa è la vera perdita. Perché questa si verifica solo quando ami una cosa più di quanto ami te stesso.
Dubito di aver osato amare qualcuno a tal punto.
Io mi guardo, e non vedo un uomo intelligente, sicuro di sé, vedo un bulletto che si caga sotto per la paura.
(...)

Nessuno può comprendere ciò che ho nel profondo.


Personalmente me ne strafrego di tutto questo perchè sai una cosa? Non c'è niente che tu possa imparare da me che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che io non voglia parlare di me. Di chi sono. Allora la cosa ti potrebbe affascinare. Ma io non voglio farlo...Sono terrorizzato da quello che direi.

..

Anzi..
Ci sto

A me la mossa.."


Liberamente tratto e riadattato da "Will Hunting, Genio Ribelle"


mercoledì 14 gennaio 2009

Tutti giù per terra


Neve?
Dove?
Vedo. Solo. Ghiaccio.
Duro. Resistente. Scivoloso.

Scivolo.
Scivolo.
Scivolo giù.

Papà non spala più. Non si sente più quel rumore da in fondo al cortile.Tra poco lui non tornerà più a dirmi quanta ce n'era per terra. Tornerà come un tempo. Senza pala.

"Come fossi non mio, da me stesso obliato.."

Cucù, c'è qualcuno?
Tutti giù per terra,
casca il mondo,
casca la terra,
e mi ci siedo su, almeno per un po'

giovedì 8 gennaio 2009

Ad ogni passo


Ad ogni pagina, una nuova parola.
Ad ogni passo una palata di neve che se ne va.

Ad ogni pagina, le parole e i concetti sono sempre più pesanti.
Ad ogni passo, nuovi fiocchi di neve a posarsi sul manto.

Che ci facevo in quella stanza, alle tre del pomeriggio, mentre il mondo spalava neve, faceva pupazzi e se ne rideva del mio affannarmi sui libri?
Che ci faccio, ogni giorno, mentre quasi mi ammazzo dallo studio per non-so-che-cosa?
E perché rimanere chiuso in quella stanza, mentre il mondo fuori esce e passeggia per portici affollati?


La neve è scesa, copiosa, quanto mai aveva fatto da quando respiro su questa terra.
Ed ha coperto tutto.
Strade, palazzi, furgoni, auto, vetrine, binari del treno, carte e scontrini gettati via dall'oblìo.

E rimarrà.
Diventerà ghiaccio.
Duro, freddo.
Ricoprirà tutto.
Forse anche te.
Ricoprirà forse quel mio cuore sbavato e bistrattato.
Fino a quando magari la primavera tornerà a fare capolino, portando via con sé tutto il gelo.

Ma ora no.
Silenzio.
Ovattato.
Non si sente.
Nulla.
E' come stare soli al mondo.
Come essere nel pancione della mamma, fermi ad aspettare di nascere.
Fermi.
In attesa.
Ma al freddo.

Ad ogni passo, altra neve spalata.
Tra poco papà salirà su e racconterà.
E non ci sarà più quel rumore raschiante nel cortile.

Ad ogni pagina, un nuovo concetto. Lo imparo. Lo ripeto. Con pazienza.
Non so bene perché. Non so perché rimango chiuso in questa stanza.

E all'improvviso mi accorgo che non ho mai visto così tanta neve.
E non mi sono nemmeno mai sentito così.


Che cosa è successo?