domenica 16 agosto 2009

Ad ogni partenza un ritorno (III)


Breve Intermezzo Onirico

"Tremavo un po' di doglie blu, e di esistenza inutile, vibravo di vertigine, di lecca-lecca zuccheri... "
(Baustelle- Gomma)


Si era coricato ormai da un pezzo, ed i pensieri faticavano a scomparire dalla testa. Voci, sguardi, mani, parole, grida, di nuovo voci: tutto insieme, tutto a lui. Poi d'improvviso si girò su di un fianco e, come preso da un sortilegio, cadde nel sonno più profondo. Ed iniziò, piano piano, a sognare...

...Non era nella Città. Era a casa. Casa sua. Il Laptop sul divano, la tv spenta sul solito canale. Si alzò d'improvviso per entrare in cucina. Anche quella sera la sete non gli lasciava requie, tormentandolo sino nelle più pronde fibre del corpo. Bevve, molto. Ma, come al solito, non servì. Tornò di fretta in cucina, si mise al pc ed iniziò a scrivere freneticamente, come preso da un furor creativo: solo dopo alcuni minuti si accorse di aver ripetuto all'infinito la stessa frase sul monitor:



Secca sete di Te



Si ricordò di quella canzone, ascoltata anni prima, e subito si trovò in camera a rovistare tra i cd: la trovò quasi all'istante, e lodò quel pomeriggio passato con Michael a ordinare tutti i cd secondo la progressione alfabetica, rispettando addirittura la divisione tra artisti italiani e stranieri. ( Per quello, lodò anche Michael per averlo introdotto all'amore per la musica, ma questo era un discorso differente, si disse) Senza indugiare estrasse il cd dalla confezione, cercò il numero della Traccia ed inserì il disco nel pc: le note risuonarono, a volume basso (era tardi, molto. Come al solito). Sì, era quella. Le stesse parole scritte sul monitor, lo stesso ritornello, la stessa voce femminile a far da controcanto a quella maschile. Erano loro.

Improvvisamente le note parvero confondersi l'una sull'altra e lui si ritrovò davanti quella sera: non capiva. Arrivò al tavolo un pinta di birra. Continuava a non capire. Alzò lo sguardo. E capì. Era lì. Le mani, le mani, le mani. Seguivano piano piano il contorno della decorazione del tavolo, o almeno quello che ne rimaneva. Sfioravano il bicchiere umido di birra, gesticolavano, sembravano parlare. Poi, come prese da timidezza, tornavano a sfiorare il tavolo, seguendo il contorno delle incisioni lasciate da centinaia di clienti passati da lì. E seguitavano, in quel modo, a descrivere piccole figure, quasi a dire "guardaci". Il ragazzo si ricordò tutto, si ricordò di quanto quegli splendidi movimenti lo avessero come ipnotizzato..e gli occhi, santo cielo gli occhi: quelle mani rimandavano subito agli occhi. Timidi, ma accesi; vispi, ma allo stesso tempo un po' timorosi ed impacciati. Anche loro seguivano traiettorie fantastiche ed impevedibili, disegnavano orizzonti lontani per poi tornare ad incrociarsi con il suo sguardo. E sembravano dire.."seguici, ma non troppo ancora. Seguici da lontano. Ma vieni dietro noi. Seguici." Il ragazzo allungò lo sguardo, alzò gli occhi quasi a mimare l'invito appena ricevuto...

E fu un lampo: si svegliò, era nel letto, nella Città. Nessuna birra, nessuna casa sua. Tutto era come lo aveva lasciato, solo l'ora, quella sì, era cambiata: era mattino, e tutti dormivano ancora. Aveva sognato tutto: la canzone, la birra, il pub, gli occhi, quelle mani.
Stette a lungo a riflettere sul cuscino,e ad un tratto, per un istante, gli parve che la sete, quella sete, anche se solo in sogno e solo per poco, fosse scomparsa, e avesse lasciato spazio ad un bagliore di azzurro..


Fine del breve intermezzo

Ad ogni partenza un ritorno... (II)


Capitolo II- Secca sete di te

Alla vista del ragazzo il mondo poteva apparire come un enorme scatolone privo di alcuna utilità: trovare ad esso un senso, seppure minimo, a quell'ora della sera..non era proprio il caso. Si alzò in fretta dalla sedia e si affacciò al piccolo balcone che dava sulla via principale: piccolo rattoppi di umanità brulicavano per quel Calle semideserto. Non sembrava nemmeno La Città, non sembrava come l'aveva osservata poche ora prima. Solare, immensa, grandiosa. A quell'ora della notte appariva quasi timida. E il caldo. Quel caldo devastante, santo cielo, che non se ne sarebbe andato per una settimana. In più, quella secca sete di lei, con il caldo, non avrebbe accennato a spegnersi. Il ragazzo pensò che tuttavia quello non sarebbe stato un male, anzi..
Alzò lo sguardo ai tetti delle case, e da lì verso il cielo della Città: blu, blu, blu. E gli venne in mente quel pomeriggio:

...le nuvole se ne erano andate, così, d'improvviso, e il cielo, finalmente, si era fatto azzurro. Di quell'azzurro limpido, chiaro, vero. Aveva volato leggero sui tetti, sui campanili, sulle facce ignare di tutte le persone. Si era librato nell'aria come mai aveva fatto in tutti quegli anni. Tutto gli era sembrato così colorato, fresco...

Guardò l'orologio, ed era tardi. Molto tardi. I suoi compagni erano già andati a dormire da un pezzo: alcuni tentavano invano di cercarsi nel letto per sentirsi più vicini e meno soli, altri avevano posato libri ed occhiali sul comodino, ritornando all'amara realtà di questo mondo. Rientrò in casa, ma una voce lo sorprese: "Vuoi un pezzo di anguria? Io ho fame, me ne spappolo mezza". Luke era in piedi, in salotto, con appunto un' enorme fetta di anguria in una mano ed un coltello nell'altra. Sempre lui. Un artista calato dentro al corpo di un vichingo: ecco quello che aveva pensato la prima volta che lo aveva intravisto. Col tempo si era affezionato a quel suo modo di fare a metà tra l'eclettismo più sfrenato e la praticità fatta a persona. Ma a quell'ora della notte anche un'anguria appariva come un ostacolo posto a metà tra La Città ed il Cielo Azzurro. "No, grazie. Mi bevo un bicchier d'acqua e scappo sotto le coperte. Oddio, coperte. Mi tuffo sul letto." "Bene, vai a fare finta di dormire allora!" Il ragazzo salutò il sorriso di Luke con un cenno degli occhi.
L'acqua non gli tolse nemmeno un po' la sete: normale, regolare. Ebbe l'impressione che la gola avrebbe continuato a rimanere secca ancora per molto tempo. Almeno, fino a quando il Cielo Azzurro non gli si fosse aperto sopra gli occhi.
Per ora, però, rimaneva lì. La Città dominava sotto i balconi, il caldo sfibrava, il Cielo Azzurro si intravedeva. Ma la sete. Tremenda, secca. Rimaneva. Rimaneva a ricordargli quegli occhi, rimaneva a ricordargli quelle mani che si erano mosse lungo le linee del tavolo molte sere prima.

Faceva caldo. Il ragazzo si coricò, pensò a lungo. Ed all'improvviso il mondo non sembrò più essere quel'enorme scatolone privo di senso...


Fine seconda parte

domenica 9 agosto 2009

Le luci di Marsiglia non arrivan mai...


...Ribaltare le parole, invertire il senso fino allo sputo, cercando un'altra poesia.
E Verlaine che gli sparava e gli gridava:"Non lasciarmi, no, non lasciarmi, vita mia..."


...E quella voglia di annientarsi, di non darsi,
e basta, basta poesia;

Ho visto tutto e cosa so?
ho rinunciato, ho detto "no", ricordo a malapena quale nome ho:
Arthur Rimbaud, Arthur Rimbaud,
Arthur Rimbaud...
(Tratto da "A. R."- R. Vecchioni)

lunedì 3 agosto 2009

Ad ogni partenza un ritorno (I)


Parte Prima-La Città

"...e tutti gli sguardi incrociati in mezzo a culture lontane, e tutti i passi affrettati per sciogliere il sole. E via da questa afa.."

Luglio era lì. Aspettava solo di essere vissuto. Il ragazzo guardava l'ora, in attesa che la sveglia suonasse e riempisse la stanza di rumore. Finalmente arrivò il tempo. E fu poco a portarlo all'aeroporto: l'automobile sgommò veloce lungo il parcheggio e lo lasciò lì, con le sue valigie.
Tutto il mondo stava in lui, da quell'ultimo sorriso sino a quel dolore che non se ne voleva andare per nulla al mondo. Le parole risuonavano ancora nel vuoto "Con i poteri da me conferitemi la nomino...". Dottore. Dottore. Del nulla, si era detto; aveva pensato a quanto avesse raschiato a fondo nel proprio animo per giungere a quel traguardo. Ed ora, ora che tutto quello per cui aveva vissuto male i propri anni era stato raggiunto, ora, nemmeno ora, riusciva a capire quello che aveva davanti: pensò però che nonostante tutto almeno quello lo teneva legato stretto alla vita, lasciandogli qualcosa che lo rendesse felice e pieno. Ma il resto. Era il resto a distrarlo. Le voci, gli sguardi, i pensieri, tutto si inseguiva: i dubbi, la paura di sè stesso, la mancanza di una missione, di un obiettivo.

"I passeggeri del volo...sono pregati di accomodarsi al Gate C.."

La voce lo riportò alla realtà: era lì, pronto con una valigia, per cercare di dimenticare quello che lui stesso era; otto persone, forse ognuna con uno scopo differente e aspettative diverse per quello che avrebbe rappresentato La Città. C'era chi voleva perdersi in chi amava, chi andava cercando il proprio posto nel mondo, chi voleva scappare ed un telefono lo riportava alla realtà, e poi c'era lui..Scivolò via coi bagagli, salì veloce sull'aereo e si sedette nel primo posto che trovò libero.La forza del decollo lo premette talmente contro il sedile che rischiò più volte di urlare. Ma in fondo capiva che quello sarebbe stato solo il primo passo verso La Città.
Ci volle poco per arrivare, qualche scala mobile, due linee di metropolitana, e poi all'improvviso apparve Lei, Solare, Luminosa, Secca: La Città. Era così arrivato, giunto dove secoli di vita non lo avevano mai portato. Non si sentì soffocare. Non si sentì nemmeno però a casa. Ma c'era qualcosa (c'è sempre qualcosa), e quel qualcosa lo portava a camminare, ad alzare finalmente lo sguardo verso i palazzi enormemente alti e quel cielo così secco e così azzurro. Il viaggio iniziava, la partenza lo aveva coinvolto in quello che fino ad allora lui stesso aveva lasciato in disparte: la vita. E non c'era nulla fuori posto: le ruote della valigia finalmente viaggiavano regolari, gli occhi rimanevano aperti, il petto batteva forte di vita.

Di nuovo, la partenza lo aveva rischiarato: improvvisamente il ragazzo si chiese cosa gli avrebbe rivelato quella settimana. E concluse che più che chiederselo sarebbe stato meglio aspettarlo e viverlo. E così fece: ribaltandosi dal pensiero alla sensazione, si fece immergere dalla Città nel brulicare della vita. Decise che sarebbe stata la Città a decidere per lui, a decidere il Lui che sarebbe venuto e che avrebbe vissuto. Di certo non si illudeva di capire e cambiare tutto, o di ritornare poi immediatamente cambiato. Ma una via, una traccia, l'avrebbe cercata. E poi, piano piano, magari seguita.
Levò lo sguardo al cielo, nuovamente. E si mise a camminare: La Città lo aspettava, e i compagni di viaggio erano avanti con le borse e gli zaini. Non aspettò un attimo in più, impugnò la propria valigia e si mise in cammino lungo la gran via che portava dritto verso il centro della settimana che sarebbe stata.

Fine prima parte