domenica 11 agosto 2013

Yellow (II)



 

È gialla. L'erba di questo campo, secca d'estate e di caldo. Si sfiora. Al vento che manda a pensare e passa qui in cima. Eran lì. I miei passi, che seguivo impaziente, che correvo affannata. E nessuno, nessuno a salire, nessuno ad aspettare, a salutare e abbracciare. Da sola, seduta qui in cima, a guardarti stupita. Pestato, passato, strappato, quel sentiero. Seduta, bruciata, guardata, quell'erba ingiallita ai colpi del sole.

Ti han bruciato quei raggi, quei mesi, quelle nuvole che andavano e ti promettevano: quando ancora pensavi di essere lontano e, distratto, spegnevi lo sguardo e accendevi le mani, passandole lente lungo i bordi, quando vestivi e aspettavi i miei tempi. -Hai sentito anche tu caderci qualcosa in testa?- -Sì, ma non ci pensare, sarà l'amore di qualcun altro.- Ed era.

Torno qui, dove il giallo che vedo è l'erba che cammino ed appoggio. Son d'estate e fa caldo: caldo mio, caldo di ora, mica un giallo di pioggia.

Questo è un giallo serio.

Tua

domenica 4 agosto 2013

Yellow (I)



«Passi tutta la vita per la strada, ad osservare, correre e cercare, pensando di sapere dove guardare. Poi, un giorno, ti accorgi che il suo ombrello giallo ce l'hai tu da sempre, e non devi fare altro che aspettare la pioggia: quel giorno lei sarà lì, perché lei ha il tuo. E la cosa bella è che nè tu nè lei ancora lo sapete.»

O forse lo sappiamo. Perché devi averlo per forza di cose tu, non ci sono altre spiegazioni: lo avevi già quando per caso mi parlavano di te, quando nella vita ci incontravamo nelle parole degli altri, nei racconti che ci vedevano protagonisti inconsapevoli. -Mia sorella mi ha spiegato il paradosso di Zenone, adesso te lo risolvo.- Era già pronto, lì: soltanto che, appunto, c'era un sole che spaccava le pietre e scrostava i numeri civici giù dalle case del paese, di quel paese così piccolo che non era nemmeno un paese, erano tre strade di frazione e poi basta.
Devi averlo per forza tu, e l'ho capito quella sera che la tua bici era là, appoggiata al muro: perché la riconobbi subito -Santo cielo la bici di.- Lo hai appoggiato alle poltrone blu di quella sala buia, quando guardammo i fotogrammi: quei fotogrammi che ti piacevano tanto e poi però un giorno abbiam smesso di guardarli insieme. In quella sala buia ho sentito il tuo odore, quando da solo la pulivo, quando i fotogrammi smettevano di muoversi: ma tanto poco importava, perché se non c'eri tu, i fotogrammi eran solo gente idiota che parlava, mica racconti. Quelli lì, invece, me li davi tu, quando ti giravi e mi fissavi, ma così forte che a un certo punto ho dovuto per forza iniziare a credere che ti interessasse quando parlavo. -La vedi quella stella là? No, niente, non so come si chiama: però è bella, ti assomiglia perché luccica tutta.-
Devi averlo per forza tu. Solo che poi niente, è iniziata questa stupida estate, dove questo stupido caldo picchia come un fabbro e un minatore messi insieme: e non lo vedo più, non lo vedi più. Perchè viaggi in direzione opposta, perché incroci sguardi e vita altrove, perché ora c'è il sole e neanche una nuvola. Ma sei sempre tu ad avercelo, ad avere il mio ombrello, quello giallo. Proprio lui. E pensa, ma pensa, che combinazione: il tuo ce l'ho io. Ma ti giuro, ti prometto, che non lo apro e non lo aprirò: ora non piove, ora c'è il sole; e poi io gli ombrelli li rompo sempre tutti, appena li prendo in mano: viaggio al ritmo di otto all'anno. 


Ma il tuo no, il tuo non lo rompo. Il tuo lo tengo qui al sicuro, lo guardo e sorrido: magari prima o poi si rimette a piovere. Tu tieni il mio lì.