venerdì 18 settembre 2009

Dialogo tra un impegnato e un non so


[Voce fuori campo:] Chi sei?
[G:] Mah, non so.
[Voce fuori campo:] Chi sei?
[G:] Sono un non so.
[Voce fuori campo:] L’ironia è un’arma della borghesia. Chi sei?
[G:] Sono… sono uno che scrive.
[Voce fuori campo:] Ah, sei un poeta!
[G:] Beh, chiamami come ti pare.
[Voce fuori campo:] Un poeta rivoluzionario?
[G:] Sì, rivoluzionario.
[Voce fuori campo:] E di cosa parli?
[G:] Parlo dell’uomo, dei suoi rapporti, dell’amore, parlo di un albero…
[Voce fuori campo:] Ah, di un albero, ero lì che ti aspettavo! Ma non lo sai che parlare di un albero in tempo di rivoluzione è come tradire la rivoluzione?
[G:] C’è la rivoluzione?
[Voce fuori campo:] Non fare lo spiritoso! Parlavo dell’impegno, dell’impegno ideologico.
[G:] Questa l’ho già sentita.
[Voce fuori campo:] L’hai già sentita ma non l’hai imparata.
[G:] Non è che non l’ho imparata, è che a me non interessa il cervello che va, va, chissà dove… deve passare di qui, dentro. È l’istinto che mi interessa, lo stomaco!
[Voce fuori campo:] Ah, lo stomaco, ero lì che ti aspettavo!
[G:] Eh ma tu mi aspetti sempre da tutte le parti!
[Voce fuori campo:] Per forza, fai ancora il discorso sui sentimenti, sui dolori… lo so dove vuoi arrivare. Ma credi veramente di servire a qualcosa?
[G:] Mah, non so. Servo a qualcosa? Dite, ditelo voi, servo a qualcosa?… non dicono.
[Voce fuori campo:] Non servi a niente! Sei un poeta borghese. Ti rinchiudi in te, non riesci a tirare fuori un’idea, modificarla, cambiarla.
[G:] Un’idea, modificarla, cambiarla, elaborarla… ci vuole mica tanto! È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro che è un’altra cosa!


(G. Gaber, Dialogo I, tratto da Dialogo tra un impegnato e un non so)

domenica 13 settembre 2009

Nella gioia e nel dolore


Vesti bianche, passi leggeri, uno dopo l'altro..visi felici, concentrati..lui aspettava dentro, con una giacca blu che copriva gran parte del suo corpo. Il pubblico, la folla, attendeva impaziente l'arrivo di lei.

La veste bianca impattò con l'ambiente circostante, e tutto si accese di luce: pochi passi, emozionati, insicuri, ansiosi. Lui era lì, guardava con curiosità gli sviluppi di quel cammino che l'avrebbe portata lì, così vicino. Così vicino. Lei arrivò, e gli occhi si chiusero insieme: fu un lampo, un attimo, e si trovarono uniti. L'uno all'altra.

Lui e lei.
Lei e lui.
Per la vita.
Una vita insieme.

Esplose la felicità, esplose l'amore: e lo sentirono pure i vicini, tanto che dovettero affacciarsi alle finestre ed ai balconi per cercare di capire cosa stesse succedendo.

L'amore era lì, passava per i viali, inondava le strade, i marciapiedi. La luce era lì, sembrava quasi irreale, tanto era chiara, quasi trasparente.
Tutto era lì, condensato in unico luogo: non c'era altrove, non c'erano alto e basso, destra e sinistra, non c'era più nulla. Solo un unico abbraccio, due persone, un amore, un sogno ormai divenuto realtà.

Ed il ragazzo osservava da lontano, contava i passi e gli sguardi dei presenti: ma poteva sentirla ormai. Sfiorava la felicità degli altri, la sentiva entrare nella sua vita, nel suo corpo, nelle sue fibre: non era lontana, estranea. No. Lì, era lì, poteva sentirla, e non solo più vederla. Forte, vera.

Intanto le vesti bianche e blu seguitavano a muoversi leggere nel prato, tra i tavoli: la vita arrivava, entrava, si faceva sentire. Per un attimo, il ragazzo non pensò ai suoi dubbi, a tutti i pensieri, alle preoccupazioni, e persino quell'ansia scomparve: pensò soltanto a loro due, alla loro felicità, ai loro sguardi, a quei movimenti atti a cercarsi, alle dita che si intrecciavano sino a perdersi l'une nelle altre. E alla gioia che esplodeva, ancora una volta. E, per un attimo, anche nella sua vita: di riflesso, ma esplodeva pur sempre.

Rimase tutta la sera, osservò da lontano gli astanti, e ringraziò ogni singolo istante di quel giorno, ogni sguardo: sfiorava la felicità, e ne era pieno. Sì, per quella sera, per poco, ma la sentiva.

venerdì 4 settembre 2009

Principio di correlazione


Il nome di questa infinita ed inesauribile profondità è Dio. E' a questa profondità che si riferisce la parola Dio. E se tale parola non ha più ormai per voi molto significato, traducetela, e parlate della profondità della vostra vita, della sorgente del vostro essere, di ciò che veramente vi importa, di ciò che prendete veramente sul serio, senza riserve. Per farlo, dovrete forse dimenticare qualcuna delle nozioni tradizionali di Dio, dovrete forse dimenticare questa stessa parola. Ma se sapete che Dio significa profondità, sapete già molto di lui. Non potrete allora definirvi atei o non-credenti, perchè non potrete dire: la vita non ha profondità, la vita è superficiale, l'Essere stesso è superficiale! Solo se vi sentiste in grado di dire tutto questo in piena serietà, sareste atei; altrimenti non lo siete. Chi conosce la profondità, conosce Dio.


(P. Tillich, La profondità dell'esistenza)