sabato 18 settembre 2010

Senza un sé da ricordare (I)


Tragedia inconclusa in troppi atti


Atto primo


Forte, deciso, quel pungolo nella carne tornava regolarmente a farsi sentire; come il primo giorno, la prima apparizione, la prima epifania di dolore, che lo avevano (finalmente) reso reale, vivente. Aveva sempre sentito una discrepanza tra la realtà dei fatti e quell'ideale di umanità lontana al quale, ogni tanto, di rado, aspirava. Anzi, a dire la verità, ciò che avrebbe voluto essere, da sempre, era proprio quell'ideale: di bontà, leggerezza, calma, quiete, un presente ed un futuro di braccia aperte ed occhi sgranati, buone parole ed azioni umane, finalmente umane.

Ma, e questo lo aveva letto, era solo un ideale: e l'ideale, come gli diceva sempre Emanuele, era destinato a rimanere inchiodato nella sua mente: la realtà non l'avrebbe mai nemmeno sfiorata.

E così era di nuovo dolore, nella carne, nel corpo, nello spirito: il buio, il male, l'oscurità, tutto, in sé stesso, sembrava destinato a sprofondare sempre più, in un eterno abisso del non ritorno. E c'era un peso, che fino ad allora non era mai riuscito a comprendere: ma proprio in quei giorni capì che, sino a quando avesse tentato di “comprenderlo”, non sarebbe riuscito a pervenire ad una soluzione. Bisognava vivere quel peso fino in fondo, come qualcosa di proprio, inaggirabile ed allo stesso tempo inenarrabile: guardarlo in viso, capirne l'angoscia del non senso e, allo stesso tempo, la realtà senza appelli.

E fu così: in un pomeriggio, senza che nulla potesse preannunciarlo, lo vide. Bastarono pochi gesti, e vide quel peso, lo sentì, lo visse come proprio: era lui quel peso, era la sua persona, ciò che egli era, la sua angoscia ed il suo male gettato in viso a chi gli stava attorno. Finalmente iniziò a dare un senso ed una direzione a quel continuo e costante tremore di gambe, a quell'infinito ed eterno aggirarsi inquieto intorno alla vita senza mai avere l'occasione di coglierla ed impadronirsene: era lui il male, lui la responsabilità di tutto quello che, lui l'origine e l'autore di ogni infelicità propria ed altrui. Si richiuse in sé stesso, e comprese di essere buio: era buio, non solo assenza, ma vero e proprio rifiuto di luce, della luce che avrebbe potuto costantemente essere, e che, regolarmente, rifiutava per gettarsi nelle sue sterili ed anzi, a volte, deleterie mani di stupido attoruncolo da quattro soldi. Sì, perché altro non era che quel triste commediante, impegnato davanti ad un folto pubblico, nella sterile e vuota farsa della sua insincerità.

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