sabato 18 settembre 2010

Senza un sé da ricordare (II)



Tragedia inconclusa in troppi atti


Atto secondo


Cercò di gettare a terra la maschera, di spegnere le luci e fuggire dal palco: ma fu vano. Il pubblico pareva ormai annoiato di tutta quella insulsa ed idiota commedia degli equivoci che da troppe serate andava in replica; anzi, qualcuno incominciava addirittura a lamentarsi con voce decisa ed arrabbiata: ma non c'era niente da fare, perché il sipario non si chiudeva, ad ogni battuta sembrava doverne seguire un'altra senza requie o riposo, in un continuo inanellarsi di disturbi psico-drammatici.

E la maschera, quella maschera, gli restava incollata al viso, tanto da non apparire più come maschera: e si fischiò, quella sera, anche lui, con tutta la sua forza, si trovò a piangere sul palco ed a tentare di domandare scusa alla platea ed ai palchi tutti per l'ingloriosa rappresentazione alla quale, da troppe sere (da sempre) assistevano:«E vorrei questa mia battuta finale, ma non ricordo: ah! Potesse essa tornare come un vecchio incantesimo e rendermi libero. Ma l'ho perduta, la manco sempre; e così, ad ogni mio errore, il regista manda avanti un altro comprimario a reggermi il gioco, ed io ci casco, e lo pizzico, lo provoco. E me ne pento: fuggono e scappano tutti.»

Si alzò una voce dalla platea:«Taci, bugiardo, falso ed ipocrita! La verità è che tu la battuta finale non solo non la ricordi, ma non l'hai mai saputa! Sei un Giuda, e quell'idea di te che ci avevi suggerito, altro non è che un enorme complesso di balle! Balle, balle, balle: fandonie lanciate come parole a chi, come noi, pensava di volerti ascoltare.»

Tremò, capì:«Io non so, io non voglio, non volevo, io non...io...io non so più: questa voce è ancora mia? E queste mani? La mia bocca, le mie labbra? Le parole che pronuncio chi le ha scritte? Forse io o qualcun altro? E quei gesti innaturali, quelle stupide moìne? Veramente, non mi credo, siete voi a veder giusto: quanto orrore dentro me, questa maschera non vale, se togliessi lei cosa mai potrei più amare? Forse un nulla universale, un epilogo banale, una lotta contro il male? Non lo sono, sono solo pochi scarti, messi insieme senza un senso: questo male, io lo so, è reale, vero, duro, nudo, crudo. Ma è banale: sono tutto ciò che sono, scemo ammasso di banale, di vittorie senza amore, di parole e non rispetto, non-affetto: questo ipocrita, questo stupido, questa carne, sono io. Non vi ho raccontato niente, vi ho tenuto qui, per cosa? Per sentir la vostra carne, ma poi l'anima? Non l'ho certo mai guardata: dite bene, che mi merito dei fischi, perché se un attore vale parla all'animo dell'uomo, cerca quello, gli dà un nome, lo fa piangere d'amore.. questo, invece, certo io non l'ho mai fatto: vi ho parlato, vi ho tenuto, ma eran solo trucchi, vecchi, stupidi e perversi; non vi ho mai considerato, ed al cuor non ho parlato. Perdonatemi, se mai amor in voi ho cercato, se quegli occhi non ho osservato, se non vi ho considerato: sono solo un commediante, rozzo, stupido e volgare. Oramai non servo a niente, alzo i tacchi e fuggo via: siate liberi, sereni, io di certo non sarò, ma è pur l'unico finale che si merita un banale. Senza amore, compassione, o un perdono universale.»


Il pubblico non fece una piega, l'attore finalmente si tolse la maschera: dietro, non c'era nulla, solo un vuoto di persona, senza un minimo di amore. Girò i tacchi, prese respiro e, come ogni sera, ricominciò la commedia di sempre e, con essa, quel pungolo nella carne che feriva e sanguinava.



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